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DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DEL 4 NOVEMBRE 2013

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Onorato di poter, anche quest’anno, rappresentare l’amministrazioone comunale, in questa significativa ricorrenza, saluto e ringrazio tutti voi, carissime Cittadine e carissimi Cittadini, Autorità, civili, religiose, rappresentanti delle Forze armate e delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, per la vostra partecipazione.
E’ trascorso quasi un secolo da quel 4 novembre 1918. Cosa dire allora oggi 3 novembre 2013, che significato dare a questa ricorrenza?
La risposta ufficiale è che siamo qui a celebrare l'anniversario della Vittoria nella prima guerra mondiale, una vicenda terribilmente drammatica, data che storicamente simboleggia il completamento dell'unità e dell'indipendenza della nostra nazione.
Contestualmente si celebra anche la Festa delle Forze Armate, istituita in memoria dei settecentomila soldati che persero la vita combattendo nel primo conflitto mondiale: quindi Giornata dell'Unita' Nazionale e Festa delle Forze Armate.
È la festa di tutti noi, di tutto il popolo italiano e delle Forze Armate. E’ l’occasione quindi, nel giorno ad esse dedicato, per testimoniare loro i nostri sentimenti di gratitudine, affetto, sincera riconoscenza per ciò che hanno fatto allora, anche con il sacrificio della vita, e per quello che continuano a fare, con professionalità, dedizione e lealtà, al servizio della Nazione.
Doveroso quindi rinnovare il nostro riconoscente apprezzamento agli oltre seimila militari attualmente impegnati nei diversi teatri di crisi, dall'Afghanistan, al Medio Oriente, ai Balcani, per garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali e contribuire alla ricostituzione delle istituzioni locali e all'assistenza delle popolazioni.
Come non ricordare allora la strage di Nassirya avvenuta il 12 novembre di dieci anni fa e che costò la vita a 28 persone tra cui 19 italiani dei quali ben 12 erano carabinieri.
E’ quindi una ricorrenza che non può non richiamare alla nostra memoria avvenimenti che, per quanto lontani nel tempo, conservano intatto il loro significato, invitandoci a ricordare che la grandezza di una Nazione poggia sulla coesione del suo popolo e sulla piena
affermazione degli ideali di libertà, giustizia e pace.
Il percorso che ha portato all’Unità del Paese è stato caratterizzato da numerose perdite umane, dal sacrificio di molte vite. In particolare nel primo conflitto mondiale - dalla fine del quale ricorrono oggi 95 anni – pesante è stato il tributo di sangue per i tantissimi Caduti.
Ma proprio quel conflitto ha rappresentato il primo momento in cui si è vista una forte partecipazione collettiva di tutti gli Italiani per difendere la propria Patria: al fronte erano presenti settentrionali e meridionali, piemontesi e toscani come calabresi e siciliani, di ogni estrazione e contesto sociale. Tutti si trovarono ad essere parte di una collettività nazionale e a riconoscersi nel valore dell’Unità Nazionale.

L’intera Nazione fu chiamata a raccolta per difendere i valori di libertà, democrazia, solidarietà e pace.

Valori accolti e consacrati nella lettera e nello spirito della nostra Costituzione, che vanno sempre coltivati con la massima intensità per rafforzare l’Unità Nazionale, nell’interesse sia del nostro Paese che dell’Unione Europea.

Solo uno Stato coeso e stabile sul piano istituzionale ed economico può fornire un
apporto importante al completamento del processo di integrazione europea, rafforzandone di conseguenza l’unione.
Ma quale è, care concittadine e cari concittadini l’immagine che oggi, a 95 anni di distanza dall’unità, percepiamo del nostro Paese, ma anche dell’Europa. Molti illustri commentatori parlano dell’Italia di un Paese alla deriva, di un sistema politico e parlamentare letteralmente esploso.
Galli Della Loggia, in un recente articolo parlava di un’Italia a una prova storica. Di un’Italia che, abbandonata la Nazione del Novecento con la fine della Prima Repubblica non è riuscita a immaginare quale altra potesse prenderne il posto, cadendo in una profonda crisi di identità che da vent’anni non riesce a produrre una formula politica in grado di farle superare l’incapacità d’azione e di decisione che da vent’anni la caratterizzano.
Concludeva che non sappiamo più chi siamo, che cosa sia l’Italia. Non sappiamo come il nostro passato si leghi al presente e come esso possa legarsi positivamente ad un futuro prossimo venturo. Il governo Letta si è appena salvato da una crisi e già ci si interroga sulla prossima, data ormai per imminente. Tutte le energie vengono sprecate non per elaborare ed approvare le tanto decantate riforme, ma in diatribe personali e scopi di bottega, anche se poi tutti si nascondono dietro il “bene del Paese”usato solo come paravento.
Non sta molto meglio l’Europa, pervasa da una preoccupante ondata di variegate forme di populismo che non solo ne minano alla base la necessaria evoluzione,ma mettono in crisi anche quei pochi tratti di unione costruiti nel tempo.
La crisi del Welfare state è un problema di dimensioni europee. Il problema dell’occupazione, della flessibilità, del terrorismo e della diffusione della criminalità organizzata su tutto il continente sono tutti problemi che riguardano in primo luogo il mercato unico e l’intera Unione Europea.
E’ necessario quindi dare risposte a questi movimenti costituiti da persone che hanno bisogno di sicurezza di fronte ad un mondo in cui l’Europa rischia di scivolare ai margini e in cui tutte le certezze del passato sembrano essere sconvolte. Sta ai governanti il compito di dare una risposta che faccia sì, che questa gente ricominci a vedere all’Europa e al mondo con positività e speranza e non con negatività e paura.

Nonostante tutto abbiamo l’obbligo di guardare al futuro con uno sguardo di giusta aspettativa e speranza, sia professionale che sociale.
Se siamo stati capaci di ripartire da due conflitti mondiali che avevano devastato il Paese in termini di vittime e di distruzioni, possiamo riuscirci anche adesso, anche se oggi il conflitto che viviamo si svolge su un piano diverso.
Siamo certamente nel pieno di una guerra, diversa da quella di allora, che qualcuno definisce finanziaria, ma non solo. Si tende a riportare alla riflessione le modalità con cui sono state risolte le crisi economiche del passato. Nessuno ormai ignora le caratteristiche peculiari dell’attuale crisi che colloca i più inuna situazione economica difficile e per molti drammatica. E’ altrettanto difficile anche per gli enti locali, per i Comuni in particolare, che si trovano a prendere decisioni importanti per tutti noi in un quadro di riferimento legislativo in continua e disorientante mutazione: basti pensare alle sigle con le quali in questi anni abbiamo dovuto fare i conti e con quelle con cui dovremo farli nel prossimo futuro ICI- IMU -TARSU – TARES- SERVICE TAX – TRISE – TARI E TASI.
A tal proposito, una buona notizia posso anticiparvela: nel prossimo Consiglio comunale, la vostra Giunta comunale proporrà l’abrogazione della Tares con il conseguente ritorno, almeno per il 2013, alla Tarsu. Non so se si riesce a cogliere il significato di questa decisione, ma sappiate che il suo costo si aggira intorno ai 250.000 euro, che cittadini e imprese commerciali risparmieranno, con buona pace di quella Tares, che pur approvata nel mese di Maggio non ha mai avuto fortunatamente cittadinanza. Se per l’anno prossimo ci obbligheranno a trasformarla in TARI in cattiva compagnia con la TASI per accogliere la nuova TRISE, ci penseremo, ma per il momento vogliamo scongiurare di sottoporre cittadini e imprese ad un ulteriore salasso che creerebbe più problemi di quanti ne potrebbe risolvere.
L’Italia nonostante tutto è e rimane una grande Nazione, che saprà, speriamo al più presto, ritrovare una sua nuova identità in grado di farla uscire dalla attuale situazione, ma c’è bisogno del contributo di tutti. C’è bisogno di unità, consapevolezza, corresponsabilità. Ma c’è soprattutto bisogno che tutti riscoprano l’Italia come Bene Comune e non come bene da contendersi tra le parti.
Ce l’abbiamo fatta nel 1918, ce l’abbiamo fatta nel 1945, ce la faremo anche adesso.
Ma vorrei chiudere queste mie riflessioni con l’estratto di uno scritto di ragazzi di scuola media, ai quali noi adulti abbiamo il dovere di trasmettere il significato delle ricorrenze come quella di oggi, ma anche apprendere, dalla semplicità delle loro parole, il vero significato del 4 novembre.
Ogni anno la data del 4 novembre in tutta Italia è la celebrazione della vittoria della Prima guerra mondiale, è la giornata delle Forze Armate e soprattutto è l‟occasione per ricordare i caduti, i morti, di tutte le guerre. Le guerre mondiali, tanto la prima quanto la seconda, per noi ragazzi sono eventi ormai lontani, che in qualche modo conosciamo solo perchè li ritroviamo sulle pagine dei libri di storia. Il rischio che corriamo non è solo quello di non conoscere i fatti, le date e le motivazioni, ma piuttosto quello di non riuscire a capire la sofferenza di chi le guerre le ha vissute ed il sacrificio di chi in queste e in altre guerre ha perso la vita... Se non riusciremo a capire tutto questo, il dolore ed il sacrificio di tanti uomini, donne e pure bambini saranno stati inutili, perchè avremo perso l’unica grande lezione che una guerra può dare, cioè la sua stessa assurdità! Ogni guerra è una follia. Ogni guerra è un errore. Nessuna guerra è indispensabile. Nessuna guerra è giusta. Non esiste litigio che non possa essere sanato con il dialogo. Non esiste conflitto che non possa essere risolto con la diplomazia. Non esiste ingiustizia, che richieda la violenza per essere sconfitta. Insomma, non c’è nessun motivo per cui la guerra debba ancora prevalere sulla PACE. E la pace deve essere l’unico vero obiettivo, l’unico vero ideale per noi ragazzi che abbiamo la fortuna di non aver mai visto la guerra con i nostri occhi.
La ricorrenza del 4 novembre non può essere solo un ricordo del passato, ma deve diventare progetto per il futuro: un progetto di pace in cui tutti noi ragazzi siamo chiamati ad essere protagonisti....

Grazie a tutti

 

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