IMPATTO AMBIENTALE DELLE CENTRALI A FISSIONE NUCLEARE

 

 

Per molti anni l’energia nucleare è apparsa come la possibile soluzione al fabbisogno energetico dell’umanità. Oltre agli Stati Uniti, molti Paesi si buttarono sulla strada nucleare, in particolare Gran Bretagna e Francia (ben presto il Paese con il maggior numero di centrali nucleari).

In seguito nacquero problemi di sicurezza, messi in evidenza da incidenti particolarmente gravi, come quelli di Three Miles Island in Pennsylvania nel 1979 e di Cernobyl nell’ex Unione Sovietica nel 1986.

Molti Paesi decisero di bloccare i loro programmi nucleari e spesso addirittura di chiudere gli impianti in funzione: è il caso dell’Italia.

Da qualche anno si è ripreso a parlare della necessità di sfruttare l’energia nucleare che, priva di emissioni di anidride carbonica, non contribuisce all’effetto serra.

I problemi dell’energia nucleare rimangono però legati alla sicurezza delle centrali, dove il reattore deve essere protetto per evitare perdite di materiale radioattivo. Infatti le particelle emesse da elementi radioattivi, se vengono a contatto con le cellule di un organismo animale o vegetale, producono danni molto gravi ai tessuti biologici e possono causare malattie rilevabili a volte solo dopo molti anni.

Esiste inoltre il problema dello smaltimento del materiale utilizzato nel funzionamento dei reattori, perché i residui del combustibile nucleare restano radioattivi anche per migliaia di anni. Si tratta perciò di confinare i rifiuti radioattivi in robusti contenitori e di sotterrarli a grandi profondità, e in ogni caso non esiste l’assoluta certezza che i contenitori resistano fino a che la radioattività non sarà esaurita.