[Vai al contenuto] | [Home pa

DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DEL 25 APRILE 2012 :

LOGO pdfSCARICA DISCORSO IN PDF>>>>>>

Autorità,
Associazioni dei partigiani e dei combattenti,
care cittadine e cari cittadini,
è con particolare emozione che oggi mi trovo qui, in rappresentanza  della nostra città, a celebrare con tutti voi, davanti  a questo monumento, la  ricorrenza fondamentale per la libertà del nostro Paese.
Porgo quindi a tutti voi un affettuoso saluto e un sentito ringraziamento per la vostra presenza a questa celebrazione che cade a 67 anni dalla Liberazione.
Una celebrazione, che insieme a molti di voi, ho sempre cercato di onorare, per oltre un trentennio,  come semplice cittadino e che oggi, da  Vice sindaco,  mi consente di poter svolgere e condividere con voi alcune  considerazioni.
Penso di interpretare  la volontà di tutti, nell’esprimere, a nome della nostra comunità,  una sentita riconoscenza al sacrificio, alla lotta, di tutti coloro che contribuirono, 67 anni fa,  alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, alla sua rinascita democratica, poi sancita dall’avvento della Costituzione repubblicana.
Una gratitudine doverosa e non banale, che è importante ribadire ogni anno, senza il rischio di cadere nella retorica.
Un commosso ringraziamento va naturalmente ai nostri partigiani e patrioti locali, cittadini di Pioltello che hanno dato il loro contributo, ed in alcuni casi la vita, alla liberazione, militando  nelle tre formazioni partigiane, alle quali, nel 1975 è stato dedicato questo monumento: il 3° GAP – l’11° e la 38°  Matteotti e la Brigata Lorenzini.
Ne cito solo i più noti:  Giacomo Cibra, Cesare Bescapé detto Rino, ma senza dimenticare tutti gli altri ed in modo particolare i caduti Perego Renzo e Perolfi Francesco; ma anche uno dei primi antifascisti,  già Sindaco di Pioltello, il Socialista Francesco Sparti.
Oggi purtroppo il numero dei resistenti, considerati i tanti anni trascorsi, è sempre più esiguo, ma il ricordo di quelli che non ci sono più e l’affetto per chi è tuttora tra noi ci devono spingere ad essere grati di ciò che oggi, grazie a loro ed ai loro alleati,  abbiamo: la libertà e la democrazia.
Certo chi è nato già libero non può capire appieno il significato della parola “libertà”. Chi è nato già libero vive questo stato con disinvoltura, quasi in maniera scontata, con la stessa naturalezza con cui respira... Chi è nato già libero non può e non sa immaginare un altro modo di vivere. Non sa e non può immaginare come altri uomini abbiano potuto vivere e sopravvivere senza la libertà.
Chi è nato già libero non riesce a rendersi pienamente conto che per continuare a vivere libero, deve imparare a conoscere, amare, conservare, difendere questa sua libertà che finisce là dove inizia quella dell’altro.

E per rinfrescare il significato di libertà, mi piace riportare alla nostra memoria, l’epilogo del  discorso che  Giacomo Matteotti pronunciò in parlamento per denunciare gli abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni:
 “Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L’elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni (…). Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”
Il 10 giugno 1924, Matteotti venne rapito e successivamente massacrato.
Libertà e democrazia devono quindi  rappresentare i cardini  di questa  celebrazione.
Non c’è mai stata libertà durante il fascismo, i vent’anni di quel regime hanno prodotto soltanto arretratezza culturale, miseria e violenza.
Oggi lo ribadiamo, rendendo onore ai protagonisti di quel percorso sociale, politico e civile che ha reso possibile il superamento di quella drammatica condizione. Gli operai, che scesero in campo contro la dittatura nel marzo del '43, astenendosi dal lavoro; i militari, che dopo l'8 settembre di quell’anno si opposero al nemico e i cittadini che in ogni parte d’Italia si unirono a loro, imbracciando le armi e abbandonando le loro case per difendere il nostro futuro.
Il popolo che spontaneamente si mobilitò e che non esitò a rischiare ciò che aveva di più caro, in primo luogo i propri affetti, per salvare e proteggere soldati e civili, prigionieri alleati fuggiti dai campi, ebrei minacciati dalla follia dello sterminio
Ma Enzo Biagi, grande maestro del giornalismo italiano,  ci ha insegnato che  “Una certa Resistenza non è mai finita”. C’è sempre da resistere a qualcosa, a certi poteri, a certe promesse, a certi servilismi.
Si  tratta  di  una  consapevolezza  che  dovrebbe  accompagnarci  sempre,  nella certezza che libertà e democrazia sono concetti dinamici, non sono conquiste ottenute  una  volta  per  tutte,  perché  richiedono  impegno  quotidiano,  anche nelle relazioni tra le persone.   In caso contrario, da valore vivo e presente, libertà e democrazia,  rischiano di diventare formule svuotate di significato e la memoria si dirige verso la deriva dell'oblio, o peggio ancora dell'indifferenza.
Dobbiamo certamente interrogarci sul significato da assegnare oggi al termine  libertà.
Un altro grande, non solo della resistenza, ma dell’Italia democratica, un certo Sandro Pertini, l’indimenticabile Presidente ,  ha spesso richiamato nei suoi discorsi,  un concetto che è  rimasto scolpito nella mia memoria: non esiste  la libertà se non esiste giustizia sociale. Non può essere considerato  libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro, che è umiliato  perché non sa come mantenere i suoi figli ed educarli.
Libertà quindi , oggi più che mai, in un periodo di profonda crisi economica, richiama uno dei fondamentali articoli della nostra Costituzione: il diritto al lavoro, quale diritto di cittadinanza. Un uomo senza lavoro non è un uomo libero; un giovane senza un lavoro è una persona senza futuro.
Resistere significa quindi operare e impegnarsi per restituire un futuro ai nostri giovani, così come la Resistenza l’ha regalato alle nostre generazioni. Resistere significa prendere coscienza che la dignità dell’uomo non può essere calpestata neanche in nome della crisi economica.
La mia, badate, non è una critica a questo o a quel Governo, ma una critica a noi stessi; siamo noi che, almeno in una certa misura determiniamo il nostro destino. E se oggi ci troviamo costretti ad essere governati da un esecutivo che è la negazione della democrazia rappresentativa, qualche interrogativo ce lo dobbiamo porre, ma senza  pretendere che problemi creati da altri possano essere portati a soluzione con la bacchetta magica. Ma altrettanto, non possiamo accettare con leggerezza che, in nome di un legittimo risanamento, si calpesti la dignità dell’uomo e si metta in gioco la loro stessa libertà, modernamente intesa, precludendola soprattutto alle migliaia di giovani che in nome della flessibilità, vengono sfruttati e sempre più allontanati dalla speranza di quel futuro migliore di cui molti di noi hanno negli anni passati usufruito.
Ma il concetto di libertà, significa oggi,  anche libertà dalle mafie e dall’illegalità, che insieme giocano un ruolo determinante nell’economia del nostro Paese.
Resistere vuol dire allora anche ringraziare quanti hanno dato la vita per combattere questi fenomeni e quanti quotidianamente sono impegnati in questa interminabile battaglia. Ma significa soprattutto contribuire a costruire un tessuto sociale che faccia della legalità uno dei principi fondamentali del nostro vivere quotidiano. E non pensiamo che sia un fenomeno che interessa solo gli altri: interessa tutti noi e i nostri comportamenti quotidiani.
Bene ha fatto quindi il nostro Presidente Napolitano a dichiarare, “Chi evade le tasse non è degno di essere italiano”. Naturalmente, sarebbe necessario distinguere chi evade perché non ce la fa a pagare da chi evade intenzionalmente.
Allargherei, in fine,  il concetto di resistenza a quello di resistere contro chi, in considerazione della crisi che l’ha investita, mette in dubbio il progetto europeo.
L’Europa sta  si vivendo un momento di forte arretramento. La moneta comune non è bastata: ad ogni tornata elettorale che si svolge nei diversi Paesi europei, partiti e movimenti che si richiamano, più o meno direttamente, alle ideologie nazionaliste e xenofobe degli anni Trenta del Novecento, aumentano i loro consensi: certo liberamente espressi, ma figli di paure spesso immotivate. Sono di questi giorni le dimissioni del governo olandese dopo la rottura con il partito di estrema destra di Geert Wilders sulle misure d’austerità e l’affermazione, in francia di Marine Le Pen.
Non possiamo dimenticare che anche  l’Unione Europea è nata  dalla resistenza ; è nata da una generazione che aveva visto e sofferto di persona gli orrori della dittatura, della guerra, dei nazionalismi, e che solo dodici anni dopo la fine della guerra fu in grado di far nascere una “Comunità Europea”, che metteva insieme popoli che solo pochi anni prima, e talvolta anche per secoli, avevano aspramente combattuto fra loro: francesi, tedeschi, italiani, e poi via via altri popoli, sino a comprendere quelli usciti, dopo le pacifiche rivoluzioni del 1989, da un’altra tremenda dittatura, e che oggi, possono essere davvero “fratelli d’Europa”.
Ecco perché dobbiamo guardare con molta simpatia a quanto sta succedendo  in Egitto, in Tunisia, in Libia, in Siria. Una nuova generazione di partigiani sta tentando di conquistare democrazia, libertà e benessere per sé e per i propri Paesi. La stessa simpatia e la stessa condivisione con cui tanti popoli guardarono ai Resistenti italiani.
Non possiamo però, e mi avvio alla conclusione,  non  chiedere all’ europea, e al nostro Governo,  un celere riequilibrio tra le politiche di rigore con quelle per la crescita dell’occupazione, come ha ribadito ieri il nostro Presidente Napolitano.
Chiediamo quindi a tutte le forze politiche di dare pronta attuazione a quanto separatamente dichiarano, ma tutti insieme non fanno: dimezzamento dei finanziamenti elettorali, riduzione significativa del numero dei parlamentari, nuova riforma elettorale, tagli ad ogni tipologia di sprechi e riorganizzazione della macchina legislativa.
Solo così potranno dare significato e sostanza al loro ruolo e costituire le premesse per far dimenticare una visione di un Paese senza regole, abbandonato a se stesso. Un Paese che si sfilaccia nella vitalità dei suoi antichi vizi avviandosi ad una sciatta decadenza, come ha scritto qualche giorno fa, Ernesto Galli Della Loggia.
Solo così potranno contribuire a rinsaldare  e custodire gelosamente un’unità faticosamente ritrovata che fa della Liberazione, la festa di tutta la Nazione.

VIVA LA REPUBBLICA,
VIVA L’ITALIA,
VIVA LA COSTITUZIONE,   E BUON XXV APRILE A TUTTI.

 

Scuolaeserv
[Torna all'inizio del contenuto] [Torna al menu di navigazione] [Home page]